Ci sono persone che non amano i riflettori, che non sgomitano per essere riconosciute; che non bramano ricoprire un posto di primo piano nella società.
Ci sono persone che soffrono il caos imperante delle grandi città, che scelgono di occupare dei piccoli centri fuorimano, che riescono a vedere delle opportunità anche dove non sembrano essercene poi molte.
Marica Panicciari entra a pieno diritto in questo insieme umano. Un insieme nel quale vigono valori quali umiltà, autoironia e semplicità. Ma si faccia attenzione a non scambiare suddetta “semplicità” con “semplicismo”: esattamente come per la trilogia I nostri antenati di Italo Calvino, queste persone sono in grado di veicolare grandi messaggi in forma lieve, senza inutili barocchismi, ma con un’immediatezza in grado di andare direttamente all’essenza delle cose…
Dopo gli anni passati all’Istituto d’arte di Macerata (nei quali non solo si è avvicinata all’estetica del Bauhaus, ma in cui è emersa un’indole dedita al perfezionismo), Marica ha cominciato a frequentare la facoltà di Architettura di Firenze. Quello di Firenze è stato un periodo elettrizzante, sì, in cui gusto e cultura andavano fiorendo in un animo già di per sé creativo, ma anche caotico e frenetico.
A pochi mesi dalla laurea, Marica è stata invitata in un’azienda a frequentare un corso di progettazione illuminotecnica: questa esperienza – che è andata man mano approfondendo e specializzando –, assieme al conseguimento della laurea, le è valsa la duplice natura di architetto da un lato, e lighting designer dall’altro.
Mantenendosi su questo doppio binario, sono seguiti gli anni dei viaggi e dei grandi progetti in cui ha alternato mansioni inerenti all’architettura, e altre inerenti al lighting design.
Tuttavia, Marica ha compreso che quella che poteva essere una vita piena di soddisfazioni professionali, a lungo andare, non le avrebbe consentito di mettere le radici di cui, in cuor suo, sapeva di avere bisogno.
Attorno al 2009, dunque, ha preso la decisione di tornare a Montappone, anche per dare continuità alla storica ferramenta eretta da suo padre negli anni Sessanta.
Di radici, si diceva.

Essendo ubicato nell’alveo del Distretto del Cappello, l’esercizio paterno, nel corso della sua storia, era stato in grado di intessere rapporti con le aziende del territorio commercializzando prodotti finalizzati proprio ai cappellifici. Questo particolare, assieme alla carica di Assessore ricoperta per cinque anni, ha permesso a Marica di avvicinarsi alla realtà dei cappellifici della zona.
Un evento soprattutto ha occasionato quella che, col senno di poi, si potrebbe definire un’epifania: durante una visita in una delle numerose aziende, l’attenzione di Marica è stata rapita dagli sfridi di feltro. È in quel momento che ha preso forma IdeeScartate.
Marica ha visto in quello che era considerato dagli addetti ai lavori semplice materiale di scarto – eccedenza di cui disfarsi –, una possibilità da cogliere al volo.
Di opportunità, si diceva.
Ha iniziato a studiare le peculiarità del feltro, in particolare le sue proprietà fonoassorbenti: dopo anni spesi a occuparsi di luce, è perciò passata al suono – a un modo per contrastare l’inquinamento acustico.
Dalla manipolazione degli sfridi in cui andavano delineandosi delle spirali – simbolo per Marica molto importante, detentore di grandi significati quali il percorso archetipico della crescita, trasformazione e viaggio psicologico o spirituale – sono nate le Sfride, simpatiche figurine portatrici di un messaggio estremamente importante: l’invito al riciclo e alla sostenibilità.
La sostenibilità – un concetto che, oggi, sembra non avere mezze misure nel suo essere abusato oppure completamente ignorato – è il filo rosso che collega ogni passaggio della produzione delle Sfride: dalla scelta dei materiali, alla decisione di non trattarli, financo alla lezione che poi l’oggetto di design nella sua compiutezza tenta di impartire con la sua semplice presenza nelle case di chi l’adotta.
IdeeScartate è un piccolo grande progetto, nato dal cuore e portato avanti con passione, e mi fa sorridere il fatto che Marica Panicciari, durante il nostro colloquio, si sia autodefinita “una goccia nell’oceano” – da qui, il titolo di questo articolo. Ma non è la goccia a scavare la roccia? Oppure, non è sempre la goccia a far traboccare il vaso?
Attenzione, dunque, alle gocce del mondo poiché saranno decisive.
Federica Scassillo



